LO SCINTILLIO DELLA SEDUZIONE
di Ermanno Cristini

“Accanto al guidatore è seduta una donna; perché l’uomo non le racconta qualcosa di divertente? Perché non le appoggia la mano sul ginocchio? Macchè l’uomo maledice l’automobilista davanti a lui perché va troppo piano, e neppure la donna pensa a toccarlo con la mano - mentalmente sta guidando anche lei, e anche lei mi maledice.” (Milan Kundera, La lentezza, Milano 1995)

Oggi sempre più spesso l’arte è portatrice di diversità  in quanto luogo della lentezza. Un territorio “marginale” dove lo sguardo si acuisce sull’insignificante e sull’infinitamente piccolo; l’emotività  di un gesto si alimenta di sfioramenti esplorati con delicatezza quasi maniacale; il tempo, proiettato in una dimensione improduttiva, si dilata ad accogliere un fare che talvolta riscopre manualità  minuziose, quasi esasperate.

L’opera si fa ambito privilegiato di una fisicità  “sottile” e del tempo “lungo” del lavoro in opposizione alla velocità  dei media e al regime della pura virtualità  che contraddistingue il contemporaneo.

Eppure mai come oggi, fuori dello studio dell’artista, il destino dell’opera è direttamente proporzionale all’estensività  ed alla velocità  della sua circolazione.

Mediatizzata, la messa in mostra che per definizione è il luogo in cui l’opera si offre all’esecuzione da parte del suo pubblico, in una dimensione necessariamente contemplativa, si moltiplica nel consumo veloce dei messaggi visivi su cui si basa la nostra esperienza percettiva.

L’evento sostituisce la messa in mostra, mentre l’immagine sostituisce l’opera. Il fare che essa reca con sé si stempera nell’apparire e in questa forma l’opera partecipa appieno alla vertigine dell’accelerazione che contraddistingue la contemporaneità .

“La parte più erotica di un corpo non è forse dove l’abito si dischiude? (...) è l’intermittenza, che è erotica (...) è proprio questo scintillio a sedurre, o anche: la messinscena di un’apparizione-sparizione.” (Roland Barthes, Il piacere del testo, Paris 1973)

Stretta tra l’essere, che attiene alla sua ontologia, e l’apparire, che riguarda il suo essere nel mondo; tra una valenza fenomenica che si sposta nella dimensione del virtuale e una valenza ontologica che afferma il proprio bisogno di realtà ; tra la lentezza che la origina e l’accelerazione che la fa vivere, l’opera può trovare una speranza di compimento.

Lo “scintillio della seduzione” sta in una faglia dove s’incontrino un bordo consolatorio, plagiario, che ricalchi i contorni inconsistenti dell’immagine e un bordo sovversivo che raccolga il soffio di umanità .

In bilico su questa faglia l’opera consuma il proprio stato di precarietà  ricercando un essere dentro le forme dell’apparire.

Ma proprio cavalcando questa precarietà  essa può ritrovare un senso e attribuire senso al proprio discorso sul mondo dandosi come metafora di una condizione contemporanea che riguardando l’opera riguarda più in generale l’uomo.

 

 

 

ROAMING. SE L’OPERA D’ARTE CADE NELLA RETE
di Alessandro Castiglioni

DIPINTO DEL TEMPO
Fai un dipinto in cui il colore
Si veda solo sotto una certa luce
In un certo momento della giornata.
Fa che sia un momento molto breve.
(Yoko Ono, estate 1961)


Caduta nella rete l’opera d’arte viene colpita da una profonda crisi d’identità . Mi spiego, se per Benjamin, l’opera, intesa come manufatto unico ed irripetibile, rischiasse tragicamente di perdere la propria aura, cadendo nella rete, l’oggetto artistico oggi ha l’occasione di definire nuovamente se stesso, riflettere attorno alla propria natura insieme fisica e concettuale.

Come se le sfide lanciate all’arte, tra i tanti, da Baudrillard, Celant, Lyotard, trovassero la possibilità  per una riformulazione ancora più definitiva.

Il progetto Roaming mette in luce proprio questa criticità , proponendo una ricerca ricca d’una forte componente concettuale, che focalizza la propria attenzione sull’opera colta nel passaggio da materiale a immateriale, attraverso un gioco di specchi: un giorno di esposizione reale, e poi la continua esposizione in una galleria in uno spazio virtuale sul web.

L’operazione innesca inevitabilmente una serie di domande sullo statuto e sull’estetica dell’opera d’arte nella dimensione digitale. Un’ estetica particolare, di delicata natura, sia in relazione all’utilizzo di supporti tecnici che prevedono una commistione tra esperienza artistica ed utilizzo di strumenti tecnologici; sia per quanto riguarda le modalità  di fruizione che prevedono la possibilità , da parte dello spettatore, di entrare in contatto e di interagire direttamente con l’opera dell’artista. Inoltre vanno considerate la profonde trasformazioni, dilatazioni e compressioni, che gli elementi spazio-temporali subiscono nella nuova realtà , quella virtuale. Un’altro fondamentale nodo di riferimento riguarda la strutturazione di una propria identità  linguistica: nel nostro caso credo sia utile interrogarsi attorno alla doppia natura delle opere, di volta in volta realizzate dagli artisti, sempre diversi, invitati a prendere parte al progetto. Già  perché, le opere, prima sono esposte fisicamente, poi solo virtualmente. Siamo così di fronte a due opere, oppure si tratta della stessa opera dotata di due differenti nature, o in fin dei conti trattiamo della stessa opera, e quelle che cambiano sono solo le modalità  di fruizione?

In realtà , non penso sia così interessante rispondere a queste domande, quanto più proficuo dedicare una riflessione a queste identità  inattese che grazie ad un semplice spostamento (da reale a virtuale), le opere assumono.

Più che un teorico, quanto manicheo, dilemma sul lavoro presentato dagli artisti per Roaming, mi sembra cioè interessante analizzare gli effetti che questa sorta di dualità  comporta. Se nella serata-evento di inaugurazione le dinamiche della mostra presentano tutte le caratteristiche reali e tradizionali del caso, come per esempio l’intangibilità  dei diversi oggetti esposti, dal giorno successivo proprio queste opere si dematerializzano, si diffondono, possono essere copiate, tagliate, ricolorate, per fare la copertina di un cd di mp3 scaricati illegalmente da eMule, o diventare lo sfondo per la mia pagina myspace. Qui non è nemmeno più questione di aura, l’opera da oggetto diventa processo, e si proietta nel futuro, come spiega chiaramente in un suo recente intervento Antonio Caronia. (A.Caronia “Digital time slip”, WOK, Edizioni Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Marzo 2008)

Sarebbe riduttivo quindi proporre un’analisi legata alla doppia natura, materiale - immateriale, degli interventi, ed esaurire qui il discorso, perché perderebbe valore, l’elemento centrale di questo progetto, la sua valenza processuale, atta a svelare e dispiegare un meccanismo, quello grazie al quale, nella “nostra modernità  postmoderna” le opere non sono più oggetti da guardare, ma relazioni da intessere, processi di metamorfosi ed ibridazione da scoprire.

THE SPARKS OF SEDUCTION
by Ermanno Cristini

“Next to the driver is sitting a woman. Why doesn’t the man tell her something amusing? Why doesn’t he put his hand on her knee? Not at all: the man curses the driver in front of him because he is driving too slowly, and the woman doesn’t even think of touching him either — she’s mentally driving herself, and she is cursing me as well”. ( Milan Kundera, La lentezza, - “The Slowness” — Milano 1995 )

Nowadays, art is more and more often a vehicle of diversity because it is the location of slowness. A “marginal” territory where the gaze concentrates on the insignificant, on the infinitely little; the emotion of a gesture is fed by light touches, so delicate as to become almost obsessive. And time, projected into an unproductive dimension, dilates itself to accommodate a doing which sometimes discovers manual skills so perfect as to reach exasperation.

The work of art becomes the privileged location of a “subtle” physicalness, of a “long” time in the work as opposed to the speed of the media and to the pure virtuality regime which characterizes the contemporary world.

Still, as never before, outside the artist’s studio the destiny of an art work is linked directly to the extensiveness and the speed of its circulation.

The exhibition of the art work — by definition the locus where it meets its public in a necessarily contemplative dimension — is mediatized and thus multiplied in a quick consumption of visual messages upon which our perceptive experience is based.

Exhibition is replaced by event, and art work by image.

The doing connected to the art work dampens into appearing and this is the form by which it fully participates to the vertiginous acceleration of our time.

“Isn’t the most erotic part of a body the point where the dress opens?... Intermittence is erotic... it’s this glitter that seduces, or even the mise-en-scène of appearing and disappearing”. (Roland Barthes, Le plaisir du texte, Paris 1973).

Caught between being — related to its ontology — and appearing — relating to its being in the world -; caught between a phenomenical valency in the virtual world and an ontological valency which states its need for reality; caught between the slowness that originates from it and the acceleration that makes it live, the work of art finds a hope of being accomplished.

The “glitter of seduction” is located in a hollow where the consolatory and the plagiaristic of the inconsistent outline of image meet the subversive with its breath of humanity

 

 

 

 

ROAMING. WHEN THE WORK OF ART FALLS INTO THE NET
by Alessandro Castiglioni

PAINTING OF TIME
Make a painting in which the colour
Can be seen only under a certain light.
Let it be a very short moment.
(Yoko Ono, summer 1961)


Fallen into the net, the work of art experiences a deep identity crisis. Benjamin considered that art work, a unique and unrepeatable artefact, tragically risked losing its own aura by falling into the net.
The artistic object has today the opportunity to redefine itself, to reflect upon its own nature, both physical and conceptual.

As though the challanges to art by Baudrillard, Celant, Lyotard and others could now find a way to be reformulated in an even more definite way.

The Roaming project casts light on just this criticity, by proposing a research with a strong conceptual component, a research that focuses on the work of art in its transition from material to immaterial through a mirror play: one day of real exhibition, to be followed by the continuous exposition in a virtual space gallery in the web.

This operation inevitably throws light on a series of questions on the status and the aesthetics of the work of art in a digital dimension. A particular aesthetics, a delicate one, partly because of the mixture of art and technology, partly because of the fruition modes which allow the public to get in touch and interact with the artist’s work. We must then consider the deep transformations, dilatations and compressions of space-time elements in the new virtual reality. Another fundamental issue is the structuring of a new linguistic identity: in our case, it is useful to reflect upon the double nature of the works of art: they are created each time by different artists who are invited to the project, and they are exhibited first physically, but then only virtually. Are we talking about two different works of art, or about the same piece of art with two different natures? Or is it the same work of art, the only change being in fruition modes?

After all, I do not think it is really interesting to answer such questions: it seems to me much more useful to reflect upon such unexpected identities acquired through the work of art by a simple switch from real to virtual.

In other words I find interesting to analyze the effects of this duality, more than posing theorical ( and obsessive ) dilemmas on the works created by the artists for Roaming. If during the evening-event of the inauguration we are facing the traditional and real dynamics of an exhibition - like the intangibility of the exhibits -, since from the very day after those, the same works of art dematerialize, get disseminated can be copied, cut, re-coloured to become the cover of an MP3 illegally downloaded from eMule, or become a screensaver. We’re not talking any more of aura, the art work itself becomes a process and get projected into the future, as clearly explained by Antonio Caronia in a recent interview ( A. Caronia, “Digital time slip”, WOK, Edizioni Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, March 2008)