June - July 2016
EX BOTTEGONE MARKET, SESTO CALENDE
Alessia Armeni, Umberto Cavenago, Elena Ceci e Ana Victoria Bruno, Ermanno Cristini, Silvia Hell, Sergio Limonta, Corrado Levi, Joikix, Michele Lombardelli, Monica Mazzone, Yari Miele, Bruno Muzzolini, Giancarlo Norese / Adina Mocanu & Alexandra Sand, Luca Scarabelli, Miki Tallone, Sophie Usunier
Curated by Ermanno Cristini e Luca Scarabelli con un contributo critico di Rossella Moratto
Coordination Elena Ceci e Ana Victoria Bruno
Itlodeo o gli artefici dei naufragi, makeup mirrors on preexisting pallets, site specific, 2016, ph. Miriam Broggini
Questa mostra è disegnata intorno alle nozioni di sopra e sotto essendo interamente sviluppata sul soffitto e sul pavimento, con la sola digressione di una
discesa ed una salita: 70 cm in giù dal soffitto e 70 cm in su dal pavimento (spazio della misura). Si vuole percorrere un “altro” paesaggio, con opere che sono sotto lo sguardo ma sopra il
pavimento e sotto il soffitto ma sopra lo sguardo.
Il sopra e il sotto descrivono lo spazio per possederlo, toccarlo ed orientarsi, ma sembrano anche negare la profondità antropologica dell’orizzonte con cui ci
confrontiamo quotidianamente. Alto e basso hanno una forte valenza simbolica e la stessa logica binaria che secondo Lévi-Strauss ci aiuta ad ordinare il mondo. Un ordine geometrico esplorato dai
sensi. Ma se si scambiano i termini e i piani, la coppia oppositiva si fa tramite di uno smarrimento, un disequilibrio, entro il quale si prospettano inganni e visioni inedite. In senso proprio,
come esercizio dello sguardo, e, in senso metaforico, in quanto luogo in cui vacillano le certezze. Una sorta di movimento tellurico, che è anche la condizione dell’utopia, un esercizio salutare
in tutti quei casi in cui ci si trova a dover percorrere i bordi di un mondo per disegnarne un altro.
Ermanno Cristini, Luca Scarabelli
Dall’alto o dal basso: questione di punti vista.
Guardare il mondo da un punto ribassato – più o meno all’altezza di un bambino piccolo o di un cane – o al contrario rialzato – come quello di un insetto in
volo – significa cambiare radicalmente la nostra prospettiva, negare il primato della visione antropocentrica attestata sull’altezza dell’uomo eretto che pensa di poter dominare il mondo avendo
culturalmente acquisito, in virtù di questa posizione, la consapevolezza naturale della propria superiorità. Privilegiare il sopra e il sotto – non più l’orizzonte – è una scelta coraggiosa
poiché introduce un elemento di squilibrio che nega l’abituale centralità, disgrega la simmetria, apre percorsi obliqui che mostrano altri panorami, già visti ma mai
considerati.
L’arte è una pratica non funzionale ma rivelatrice che qui mette in campo il suo potere creando una condizione di smarrimento: bisogna guardare in alto, perfino
alzarsi in punta di piedi, oppure in basso e accucciarsi, assumere altre posture perché all’altezza occhio non c’è nulla. Bisogna cercare SOPRASOTTO. Infatti le opere non sono canonicamente
appese alle pareti ma sono collocate eccentricamente – al massimo a 70 centimetri dal suolo oppure altrettanti dal soffitto – determinando uno spostamento delle usuali coordinate della
fruizione. È una pratica di affrancamento, un esercizio quasi funambolico che è debitore di analoghe azioni e ricerche degli anni sessanta, in particolare del Sistema disequilibrante di Ugo La
Pietra il quale, tramite alcuni dispositivi come i Commutatori, offriva la possibilità di sperimentare punti di osservazione alternativi da cui riconfigurare la consueta relazione con l’ambiente
circostante, proponendo una visione autonoma e divergente dello spazio urbano, sovversiva rispetto alle imposizioni del potere che struttura il territorio imponendo prospettive privilegiate.
Analogamente SOPRASOTTO offre un’esperienza eversiva in relazione al contesto espositivo – un ex supermercato in via di dismissione – che acquista anche una valenza politica: il cambio di
direzione dello sguardo si sposta dalla centralità prima assegnata alla merce al margine, ai luoghi nascosti del consumo – il pavimento, il soffitto, le canaline dove passano i cavi
dell’impiantistica, le luci e i condotti del condizionamento ma anche i locali vietati all’accesso del pubblico, i magazzini, i ripostigli – rivelando ciò che normalmente è invisibile e non si
deve vedere.
Le opere – di Alessia Armeni Umberto Cavenago, Silvia Hell, Sergio Limonta, Corrado Levi, Joykix, Michele Lombardelli, Monica Mazzone, Yari Miele, Bruno
Muzzolini, Giancarlo Norese / Adina Mocanu & Alexandra Sand, Michy Tallone, Sophie Usunier e di Ermanno Cristini e Luca Scarabelli, questi ultimi anche nella veste di curatori – si
infiltrano nell’ambiente, presentandosi a volte quasi mimeticamente negli interstizi, attuando pratiche di ribaltamento e falsificazione che danno presenza al marginale e rivelano nuove geografie
che si sovrappongono alle architetture svuotate di funzione per attivare l’imprevedibile dimensione del possibile, inventiva e desiderante, oltre la convenzionalità.
Rossella Moratto